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La Sovrana del Campo d’Oro

Capitolo 1: Una fanciulla all’asta


«VENERDÌ 4 MAGGIO 1867, alla ore tre pomeridiane, nel gran salone del Club Femminile, sotto la controlleria del sottoscritto notaio, si procederà all’estrazione della lotteria organizzata per conto di miss Annie Clayfert, soprannominata la Sovrana del Campo d’Oro, che per bellezza non ha l’eguale fra tutte le fanciulle di San Francisco di California.

«Per desiderio espresso da miss Annie Clayfert, il vincitore potrà mettere all’incanto il premio, se non lo trovasse di suo gradimento, al prezzo di ventimila dollari.

«Venerdì 24 maggio, alle ore pomeridiane, tutti nel gran salone del Club Femminile, dove miss Annie si presenterà al pubblico in tutta la sua raggiante bellezza!

«JOHN DAVIS

«Notaio di San Francisco».



Questo strano avviso, appiccicato su tutte le principali case della Regina dell’Oceano Pacifico e sui tronchi degli alberi dei giardini pubblici, non aveva mancato di produrre un certo effetto, quantunque non fosse assolutamente nuovo il caso di fanciulle da marito che si mettevano all’asta... come un semplice oggetto del Monte di Pietà.

A dire il vero, simili manifesti sono diventati un po’ rari nelle grandi e popolose città dell’Unione Americana del Nord, tuttavia nel 1867 apparivano ancora abbastanza numerosi e molti matrimoni venivano conclusi in quel modo.

Si sa che gli americani non vogliono perdere tempo e che non amano le ipocrisie inutili. Laggiù vanno alla spiccia negli affari e anche il matrimonio, per quei bravi lavoratori, non viene considerato altro che come un affare.

Non era quindi raro, anni addietro, il caso che una signorina senza un soldo, od un bel giovane senza un millesimo, pensassero di mettersi all’asta, tanto per levarsi dalla miseria materiale e darsi una posizione migliore.

Quelle lotterie o quelle aste, del resto, fruttavano sempre e anche assai bene.

Chi non ricorda miss Allen, che si mise all’asta nella città di Chicago nel 1879 e che fu pagata mezzo milione e che per poco non corse il pericolo di diventare la moglie d’un piantatore delle Antille, negro come lo zio Tom e brutto come una scimmia africana, che aveva spinta l’asta fino a 400.000 lire?

Non fu salvata che all’ultimo momento, da un bianco cavalleresco, molto ricco, a cui spiaceva che quella bellissima fanciulla finisse fra le mani d’un negro.

La pagò mezzo milione, ma il matrimonio fu felice.

Quello però che aveva messo in orgasmo la gioventù californiana non era l’avviso della prossima estrazione della lotteria, bensì la persona che ricorreva a quello strano mezzo per avere una dote ed anche un marito che poteva essere o brutto, o vecchio, o gobbo.

Tutti conoscevano miss Annie Clayfert, una fanciulla d’una bellezza meravigliosa, un po’ eccentrica, che cavalcava da mane a sera attraverso le più popolose vie di San Francisco, facendosi ammirare per la ricchezza e per la stravaganza delle sue tolette e per la sua impareggiabile grazia d’amazzone.

Fino a poche settimane prima che comparissero quei manifesti da tutti era stata ritenuta per ricchissima.

Si diceva che suo padre possedesse delle miniere d’oro nell’Arizona, e perciò l’avevano battezzata col soprannome di: Sovrana del Campo d’Oro, ed il lusso che fino allora aveva sfoggiato l’eccentrica fanciulla pareva dar ragione a quelle dicerie.

Aveva abitato in uno dei più splendidi palazzi, situati nella parte più centrale della città; aveva avuto un bel numero di servi, cavalli di gran valore, un piccolo yacht montato con gran lusso... poi un brutto giorno aveva venduto tutto, aveva congedata la servitù e si era ritirata nella città mobile, in uno di quei graziosi, ma modesti carrozzoni che formano il sobborgo di Cartown, non conservando che una vecchia serva negra ed il suo cavallo favorito.

Che cosa era avvenuto? Quale disgrazia aveva colpita la Sovrana del Campo d’Oro per precipitarla dalla ricchezza nella miseria? Quale catastrofe imprevista aveva distrutte le miniere che suo padre possedeva e lavorava nei lontani territori dell’Arizona? Nessuno aveva potuto dare qualche spiegazione, poiché la fanciulla non si era confidata con chicchessia.

Quattro giorni dopo d’aver lasciato il palazzo e d’aver liquidato quanto possedeva, le pareti della città si erano coperte di quei manifesti e ventimila biglietti, a cinque dollari l’uno, erano stati messi in vendita ed esauriti completamente in meno di ventiquattro ore.

Tutta la gioventù di San Francisco aveva comperato con furore, disputandosi accanitamente gli ultimi biglietti, che erano saliti a cinquanta dollari l’uno.

Perfino dei negri, e ve n’erano molti a San Francisco, ne avevano comperato, colla speranza di avere per moglie quella deliziosa fanciulla che tutti ammiravano, e si diceva anche che uno di essi aveva fatta incetta d’una grossa partita di biglietti, spendendo parecchie migliaia di dollari.

Chi doveva essere il fortunato marito della Sovrana del Campo d’Oro? Ecco quello che si chiedevano tutti ansiosamente, giacché gli ammiratori della fanciulla si contavano a centinaia e centinaia.

***


Il pomeriggio del 24 maggio, una folla enorme e svariata si pigiava nell’ampio salone del Club Femminile, messo a disposizione di Annie Clayfert dalla presidentessa, affinché l’estrazione potesse farsi in un luogo chiuso.

La gioventù californiana era accorsa in gran numero, e non era la sola. Anche dei vecchi celibi, che possedevano delle fortune vistose e che speravano segretamente di mettere le mani su quella splendida beltà, erano pure accorsi.

E non tutti erano bianchi. Vi erano anche dei negri, coi loro grandi occhi di porcellana, con tanto di tuba sui lanosi capelli e le dita cariche di anelli vistosi, e perfino dei cinesi dalle zucche pelate, il codino cadente sul dorso e le loro ampie vesti di seta fiorata dalle tinte smaglianti.

Tutti si spingevano, si urtavano, si accalcavano, per giungere presso la piattaforma ch’era stata alzata all’estremità della sala sulla quale doveva mostrarsi la Sovrana del Campo d’Oro.

Caso strano! Quel giorno, tutti quegli americani, non parlavano né di borsa, né di affari. Contrariamente alle loro abitudini, non si udiva né chiedere i prezzi degli zuccheri, del frumento, né dei vini, gli articoli vivi dell’esportazione californiana.

Diciamo caso strano, poiché gli americani anche nelle loro più curiose manifestazioni, non dimenticano mai gli affari.

Possono trovarsi ad un funerale, ad un matrimonio, ad una rivista, a qualunque cerimonia, e si odono sempre parlare di prezzi di borsa, di generi alimentari, magari dei prezzi che fanno i porci salati di Chicago.

Se fosse possibile dormire e nel medesimo tempo parlare di affari, state certi che quei bravi yankees lo farebbero.

Quel giorno però la curiosità aveva vinto tutti. Non si occupavano che della Sovrana del Campo d’Oro e della lotteria, scommettendo con furore che sarebbe uscito un numero basso invece che uno alto; che il fortunato vincitore sarebbe stato un americano od un negro; che avrebbe i baffi bianchi o la barba nera ecc.

Già la sala si era completamente riempita e l’impazienza cominciava ad impadronirsi di quegli uomini, ordinariamente piuttosto calmi, quando sulla piattaforma comparve un omiciattolo grasso, quasi calvo, accuratamente sbarbato e vestito correttamente in nero, seguìto da due negri che portavano una enorme ruota di filo di ferro, quasi piena di biglietti arrotolati.

– Il notaio!... Il notaio!... – gridarono da tutte le parti.

L’omiciattolo si levò il cappello a cilindro, salutando dignitosamente il pubblico, poi disse:

– Sì, signori, io sono il notaio John Davis, incaricato di sorvegliare l’estrazione del numero, onde venga impedita qualsiasi frode. Rappresento la legge e spero che nessuno dubiterà di me.

– Urrah per John Davis! – urlarono i giovani.

Il notaio con un gesto della mano reclamò un po’ di silenzio, poi riprese:

– Devo ripetervi qui a quali condizioni miss Annie Clayfert si è messa all’asta, quantunque figurino sui biglietti della lotteria messi in vendita.

– Le conosciamo – risposero cento voci.

– Lo so, ma questa è una formalità necessaria – disse il notaio. – Mi si ascolti dunque.

«Dall’atto notarile, di cui io sono possessore, risulta:

«1° Che miss Annie Clayfert apparterrà, chiunque possa essere, bianco, negro o giallo, giovane o vecchio, al possessore del biglietto che avrà il numero vincitore.

«2° Che miss Annie Clayfert, diverrà sua sposa legittima sei mesi dopo l’estrazione.

«3° Che durante questo tempo ella avrà piena libertà di recarsi in qualsiasi stato dell’Unione Americana, accordando al futuro marito diritto di seguirla per controllare i suoi atti.

«4° Che il ricavato della lotteria spetta esclusivamente a miss Annie Clayfert, la quale potrà disporne nel modo che crederà, senza che il futuro marito possa avere su quella somma alcuna pretesa.

«5° Che nel caso che il vincitore della lotteria credesse di rifiutare il premio vivente e preferisse metterlo all’asta, non potrà ricevere più di ventimila dollari. Il di più che si potrà ricavare spetterà esclusivamente a miss Annie Clayfert.

«Ed ora signori, – concluse il notaio, – ho finito.»

– Fuori miss Annie!... – gridarono centinaia di voci. – Vogliamo vederla!...

Una tenda di damasco, che mascherava una porta, fu nel medesimo tempo sollevata e la Sovrana del Campo d’Oro, calma e sorridente, s’avanzò fino a metà del palco, strappando agli spettatori un urlo d’ammirazione.

Miss Annie era realmente d’una bellezza meravigliosa. Era di statura alta, slanciata, squisitamente modellata, con una vitina da vespa, vestita elegantemente da amazzone, in seta azzurra trapunta in argento, con pizzi di gran valore sul dinanzi del corsetto.

Aveva il viso d’un ovale perfetto, d’una tinta leggermente rosea, gli occhi d’un azzurro profondo che spiccavano vivamente sotto le sopracciglie dall’arcata magnifica, una boccuccia da bimba, colle labbra rosse come il corallo ed i capelli biondi come l’oro.

Salutò il pubblico col frustino che teneva in mano e con un grazioso sorriso, mentre da tutte le parti rintronavano urrah fragorosi, accompagnati da applausi.

– Hipp!... Urrah per miss Annie!... Urrah per la Sovrana del Campo d’Oro!... Urrah!...

Miss Annie ringraziava abbassando il capo. Pareva tranquillissima e punto preoccupata dal pensiero che la sorte poteva darle per marito un vecchio celibe, o qualche brutto piantatore negro o peggio ancora, qualche lurido cinese.

Gli urrah e gli applausi durarono un buon quarto d’ora, ossia fino a che il notaio fece squillare poderosamente il campanello, annunciando che si stava per procedere all’estrazione del numero.

A quei clamori assordanti era subito successo, come per incanto, un profondo silenzio. Si avrebbe detto che quelle tre o quattromila persone, che si pigiavano nella sala, non respiravano più.

Miss Annie era rimasta tranquilla, cogli occhi fissi sulla bussola contenente i numeri; ma il suo bel viso era diventato in quel momento lievemente pallido ed una leggera ruga si era delineata sulla sua fronte.

Il notaio fece girare la ruota otto o dieci volte, poi introdusse una mano attraverso lo sportello e prese a caso un biglietto.

Un vivo momento di curiosità e anche di ansietà aveva fatto ondeggiare quella massa di gente. Parecchi giovani erano saliti su delle sedie, per meglio vedere.

Miss Annie, immobile come una statua, teneva sempre gli occhi fissi sulla ruota. Era però ancora pallida.

Il notaio, fra il silenzio profondo che regnava nella vasta sala, tanto profondo che si sarebbe potuto udire una mosca a volare, svolse il biglietto, poi con voce squillante gridò:

– 861.

Un grido di trionfo era echeggiato in fondo alla sala, fra le ultime file degli spettatori, seguìto quasi subito da un urlo di rabbia e di disperazione, che erasi udito invece verso le prime file.

Questo secondo grido l’aveva mandato un uomo che si teneva ritto su una sedia, a pochi passi dal palco.

Tutti gli occhi si erano fissati su di lui, credendo gli spettatori di essersi ingannati sul vero tono di quell’urlo e immaginando che quel giovane fosse il fortunato vincitore.

Era un bellissimo giovanotto, sui vent’otto o trent’anni, di statura piuttosto alta, con baffetti bruni, occhi nerissimi tagliati a mandorla, colla carnagione un po’ abbronzata.

Era vestito con estrema eleganza, con una gardenia all’occhiello della sua giacca ed aveva le mani inguantate.

Anche miss Annie aveva volti gli occhi verso quel giovane ed un rapido trasalimento l’aveva fatta sussultare.

– Lui – mormorò, mentre le ritornavano prontamente i suoi rosei colori.

Lo sconosciuto però, ad un tratto, fu veduto vacillare e appoggiarsi contro la parete che gli stava presso, mentre diventava pallido come un cencio lavato.

Nel medesimo tempo, in fondo alla sala, si vedevano le linee degli spettatori aprirsi dinanzi ad un uomo che teneva in alto un biglietto della lotteria e che gridava con voce strozzata:

– Largo!... Largo!... L’861!...

Era anche quello un giovanotto, quasi della medesima età dell’altro, forse un po’ più giovane, allampanato, smunto, coi lineamenti angolosi, i capelli d’un biondo slavato e gli occhi d’un colore indefinibile, fra il grigio e la tinta dell’acciaio.

In quanto all’eleganza non faceva certo una bella figura. Aveva una giacca scolorita per lungo uso, calzoni troppo larghi per le sue gambe magre e troppo corti, ed un solino che un tempo poteva essere stato bianco, ma che pel momento non lo era più, non ostante il cravattone di seta rossa sgualcita.

– Largo al vincitore!... – gridavano gli spettatori delle ultime file.

– È lui che ha vinto? – si chiedevano da tutte le parti, guardando biecamente il fortunato.

Chi bestemmiava e chi rideva, altri guardavano con disprezzo quel giovanotto, che faceva una così meschina figura dinanzi alla raggiante bellezza della fanciulla.

– Povera miss Annie!... – dicevano alcuni. – Non poteva toccarle un marito più brutto.

– Costringiamolo a metterla all’asta!... – gridavano altri. – Non possiamo permettere che cada in quelle mani!...

Il giovane pareva che non udisse quelle voci minacciose.

Fendette la folla e s’appressò al palco, mostrando il biglietto e gridando senza posa:

– L’861!...

Il notaio si abbassò verso di lui, prese il biglietto, lo guardò attentamente, poi disse:

– Questo signore ha vinto: miss Annie Clayfert appartiene a lui.

La fanciulla non aveva fatto alcun moto, né aveva pronunziata una sola parola, pareva pietrificata.

Nella sala echeggiavano qua e là grida di rabbia, ed imprecazioni.

– Mettila all’asta, biondaccio!...

– Non è un boccone per te!...

– All’asta!... All’asta!...

Il giovanotto, che non aveva mai risposto, fece un goffo inchino dinanzi al notaio, poi indirizzandosi a miss Annie, che lo guardava con un senso quasi di terrore, le disse:

– Miss, io a termini dell’atto notarile da voi firmato, quale vincitore della lotteria, dovrei diventare fra sei mesi vostro marito e sarai ben felice ed orgoglioso di avere per moglie la più bella fanciulla di tutta la California. Non ritenendomi però degno di tanto onore, essendo io tutt’altro che bello innanzi a tutto e poi un povero diavolo che non ha mai avuto fortuna, se non avete nulla in contrario, accetto i ventimila dollari e vi lascio libera. Voi, bella come siete, potrete trovare un giovane più degno di me e anche più ricco.

– Sicché la mettete all’asta? – chiese il notaio.

– Sì, se a miss Annie Clayfert non rincresce.

– Grazie, signore – disse la giovane, che ebbe un sorriso. – Ditemi il vostro nome.

– Harry Blunt, un povero spiantato, scrivano di professione, che digiuna due o tre mesi dell’anno.

Il pubblico che poco prima si era dichiarato apertamente ostile al giovane, proruppe in un urrah strepitoso.

– Bravo Harry!... Sei un bravo giovane!... Hip hip urrà per Harry Blunt!

– Questa sera alle ore otto passerete nel mio studio a ritirare i ventimila dollari che vi spettano – disse il notaio.

– E che mi serviranno per realizzare finalmente il vecchio sogno di andare a cercare avventure nei territori indiani!... – gridò Harry, con accento trionfante.

– L’asta!... Aprite l’asta!... – urlavano gli spettatori.

Il notaio reclamò un po’ di silenzio, poi, alzando la voce, disse:

– Miss Annie Clayfert è messa all’asta al prezzo di ventimila dollari. Avanti colle offerte.

Aveva appena pronunciate quelle parole che si udì una voce sonora a gridare:

– Venticinquemila dollari!...

Era l’altro giovane bruno, che aveva mandato quel grido di rabbia, udendo il notaio ad annunciare il numero 861.

Non era più pallido e si teneva ritto sulla sedia, cogli occhi accesi e fissi sulla fanciulla.

– Trentamila!... – aveva gridato un vecchio sulla sessantina, che pareva un pastore anglicano.

– Trentacinquemila!... – aveva ribattuto il giovane.

Per quattro o cinque minuti le offerte si moltiplicarono salendo fino ai quarantamila dollari. Parecchi giovani avevano preso parte alla gara, e quando il bruno l’aumentò d’un colpo solo di altri diecimila, un profondo silenzio successe nella sala.

La Sovrana del Campo d’Oro era incontrastabilmente bella, ma anche duecentocinquantamila lire rappresentavano una bella somma. Quella cifra aveva smorzato l’entusiasmo degli spettatori.

Già pareva che più nessuno osasse aumentarla, quando una voce tuonante e sgradevole, ruppe improvvisamente quel silenzio, gridando in un pessimo inglese:

– Offro sessantamila dollari!...

Fu un colpo di fulmine e tutti si volsero per vedere quel pazzo che portava il prezzo, già enorme, a trecentomila lire.

Un grido di stupore, seguìto subito da una serie d’esclamazioni, sfuggì da tutte le bocche, poi fra la folla vi fu un movimento burrascoso. Tutti si ritraevano da quell’offerente dell’ultimo momento, facendo gesti d’indignazione, come se avessero paura di prendersi la peste.

Miss Annie stessa aveva fatto un gesto di disgusto ed aveva lanciato verso il giovane uno sguardo disperato, come per dirgli:

– Salvatemi!...