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I minatori dell’Alaska

Capitolo 1: Il ferito


– ALL’ERTA!...

– Corna di bisonte!...

– In piedi, Bennie!...

– Brucia la prateria?

– No!...

– Fugge il bestiame?...

Un clamore assordante, un misto di urla acute, di latrati e di muggiti echeggia improvvisamente in lontananza, rompendo di colpo il profondo silenzio che regna sull’immensa prateria, che dalle rive del Piccolo lago degli Schiavi si estende, quasi senza interruzione, a quelle del fiume Athabasca ed ai piedi della gigantesca catena delle Montagne Rocciose.

Sono urla confuse d’uomini, abbaiamenti di cani, muggiti di buoi spaventati.

– Bennie, che cosa sta per succedere?

Colui che portava quel nome non rispose. Si era bruscamente alzato, sbarazzandosi della coperta di lana che lo copriva, aveva raccolto la carabina a percussione centrale che aveva trovato al proprio fianco, e si era slanciato fuori dell’enorme carro.

Una oscurità profonda regnava sulla prateria, non essendovi né luna, né stelle.

Solamente qua e là si vedevano scintillare come a ondate, dei punti luminosi, i quali si abbassavano e s’alzavano capricciosamente, tracciando delle linee d’argento o d’un verde pallido d’un effetto fantastico.

Attorno al carro però, delle masse nere si erano alzate in gran numero, muggendo e nitrendo, e cercando un rifugio addosso al monumentale rotabile, verso le cui pareti si urtavano confusamente.

– By-God! – borbottò l’uomo che era uscito, mentre alzava rapidamente il fucile, come se avesse timore di venire improvvisamente assalito. – Che cosa succede sulle rive del fiume?

Uno sparo era echeggiato in quella direzione. Era stata una detonazione secca, ben diversa da quella delle carabine.

– È stato un winchester, Bennie – disse una voce dietro di lui.

– Sì, Buck.

– L’arma a ripetizione adoperata dagli indiani.

– È vero.

– Che quelle dannate pellirosse abbiano dissotterrata l’ascia di guerra?...

– Io non lo so, ma ti dico, Buck, che sulle rive del lago succede qualche cosa di grave.

– Che quei furfanti vogliano tentare un colpo di mano contro di noi?... Questi duecento capi di bestiame possono far gola a loro, Bennie.

– Lo so.

– Tanto più che non devono ignorare che noi siamo due soli.

– È vero, Buck.

– Odi?...

Le grida, che per alcuni istanti erano cessate, echeggiarono di nuovo verso il nord, ove si scorgeva confusamente una linea assai oscura, qualche boscaglia forse, seguìte subito da alcuni spari isolati, poi da un vero fuoco di fila.

Si udivano le detonazioni secche dei winchesters a ripetizione, quelle più sonore dei rifles e quelle più brevi delle rivoltelle.

Pareva che un combattimento furioso succedesse in mezzo alle tenebre, forse impegnato fra indiani ed uomini bianchi.

– Satanasso?... – gridò Buck, che non poteva rimanere fermo. – Laggiù si scannano!... Ehi, Bennie, se andassimo a vedere che cosa accade?...

– Ed il bestiame che ci ha affidato il signor Harris?... Se nel ritorno non lo trovassimo più?...

– Non fuggirà. Bennie.

– Solo no, di certo, ma costretto da quei furfanti dalla pelle rossa.

– Se sono occupati laggiù, non possono trovarsi qui.

– Sono furbi.

– Che cosa vuoi dire, Bennie?...

– Che forse fingono di battersi per cercare di allontanarci.

– Hum!...

– Non lo credi?

– Non odi le detonazioni delle rivoltelle?... Gli indiani non hanno mai possedute queste armi. Che cosa facciamo?...

– Tu rimani ed io andrò a vedere che cosa succede.

– Ti farai scotennare.

– La Nube Rossa mi conosce.

– Sì, fidati di quel sachem...

– Orsù!...

– Taci, Bennie!...

Le grida erano diventate allora talmente acute, che i due uomini non potevano quasi più intendersi. Colpi di rivoltella, colpi di carabina e fuochi di fila dei winchesters si seguivano, formando un baccano assordante.

Non si poteva ingannarsi. Sulle rive dell’Athabasca, in mezzo ai pini, alle querce ed agli aceri, si combatteva con furore.

Erano due bande d’indiani appartenenti a due diverse nazioni, che combattevano fra di loro, per procurarsi delle capigliature onde ornarsi i calzoni o da sospendere, lugubri trofei, al loro wigwan, oppure avevano assalito qualche colonna di emigranti diretta nelle regioni dell’ovest?... Era più probabile questa supposizione, che la prima, poiché da tre mesi che Buck e Bennie si trovavano in quella parte della grande prateria, mai avevano veduto apparire tribù avverse ai guerrieri della Nube Rossa, il capo dei corvi e dei grandi ventri.

La fucilata furiosa, quasi continua, durò cinque minuti mettendo in subbuglio i cavalli ed i buoi che si erano raccolti nei dintorni del carro, poi cessò bruscamente.

Qualche sparo isolato si udì ancora echeggiare in lontananza, verso l’ovest, quindi ogni rumore cessò e la grande prateria ritornò silenziosa come prima.

– Satanasso!... – esclamò Buck, che aveva ascoltato in preda ad una viva emozione. – Tutto è finito.

– Non vorrei essermi trovato nei panni di coloro che hanno avuta la peggio – disse Bennie. – I poveri diavoli saranno stati tutti scotennati dai guerrieri della Nube Rossa. Apriamo gli occhi.

– Temi qualche cosa, Bennie?

– Gli indiani, insuperbiti dalla vittoria, potrebbero ora prendersela con noi.

– Non sarebbe da stupirsi, tanto più che siamo in due soli.

– E che siamo lontani da qualsiasi centro abitato. Montiamo a cavallo, Buck. Saremo più sicuri sui nostri mustangs che nel carro. Stando in sella potremo spingere lontano gli sguardi e scorgere il nemico prima che ci piombi addosso. Ah!... Lo dicevo io di non fidarci troppo di quei furfanti!... La pipa della pace!... Bah!... Una volta, chi aveva fumato il calumet colle pellirosse poteva considerarsi amico, ma ora?... Orsù, Buck, in sella. Incomincio a non sentirmi più sicuro. Hai la tua rivoltella?...

– Anche il mio bowie-knife.

– Benissimo.

Colui che si chiamava Bennie mandò un fischio breve e sonoro, mentre il suo compagno faceva altrettanto.

In mezzo al bestiame, che si era raggruppato attorno al carro monumentale, successe una viva confusione, che pareva prodotta da alcuni animali tendenti a forzare quelle fitte linee di buoi e di cavalli, poi due grandi ombre uscirono con fatica da quell’ammasso di corpi giganteschi e si slanciarono nella prateria, caracollando e mandando dei nitriti sonori.

Erano due splendidi mustangs, ossia due cavalli di prateria, animali d’origine spagnola, piccoli, vigorosi, colla testa leggera, le gambe sottili e nervose, la groppa larga e robusta e la coda lunghissima che toccava quasi la terra.

Questi animali, che sono ancora numerosi nelle vaste praterie dell’ovest americano, allo stato selvaggio, al pari di quelli che scorrazzano in grandi bande le pampas della Patagonia, sono degli impareggiabili corridori, nonostante la loro statura piuttosto piccola.

Discendenti dei novantaquattro cavalli importati dagli spagnoli in America, poco dopo la scoperta di quell’immenso continente, si moltiplicarono talmente allo stato libero, che in quindici o venti anni si disseminarono su tutta la superficie del Nuovo Mondo, dai territori sottoposti al dominio inglese, alle lontanissime praterie della Patagonia, sostituendo l’antica razza equina americana, scomparsa misteriosamente, non si sa se per opera degl’indiani, o in seguito a qualche disastrosa epidemia.

I due mustangs, ormai completamente domati, andarono a soffregare i loro musi contro le spalle dei due uomini, mandando un nitrito prolungato.

– In sella – disse colui che si chiamava Bennie.

Entrambi, con un ammirabile volteggio e senza far punto uso delle staffe, balzarono in arcione raccogliendo con una mano le briglie, poi stettero in ascolto, col capo teso innanzi e cercando di scoprire, cogli sguardi, ciò che accadeva sulla fosca linea dell’orizzonte.

– Vedi nulla, Bennie!... – chiese Buck, dopo alcuni istanti di silenzio.

– Assolutamente nulla; mi pare che la prateria sia diventata tranquilla.

– Se ci spingessimo fino sulle rive del lago?...

– Hum!... E lo pensi tu?...

– Sono curioso di sapere cos’è accaduto laggiù.

– A me preme non perdere il bestiame, amico Buck: chi mi assicura che delle pellirosse non ronzino in questo istante nella prateria, colla speranza di vederci allontanare?...

– Eh!... Se i grandi ventri e i corvi volassero su di noi a rubarci il bestiame, chi glielo impedirebbe, Bennie?... Due carabine non fanno paura a quegli indemoniati scotennatori.

– Lo so, tuttavia preferisco per ora starmene qui, Buck. Domani, all’alba, quando saremo certi che la prateria sarà deserta, andremo a vedere cos’è accaduto sulle rive del lago.

– Che sia successo un vero combattimento?

– Non vi è dubbio, Buck.

– O che sia stato un falso allarme?... Chissà, forse una manovra per tentare d’allontanarci?...

Bennie stava per rispondere, quando in lontananza si udì echeggiare un urlo acuto, che aveva qualche cosa di triste e di lugubre.

– Odi, Buck?... – chiese Bennie, crollando il capo.

– L’urlo d’un lupo?...

– Sì, e sai che cosa significa?...

– Che quel vorace animale ha scoperto dei cadaveri da spolpare.

– Sì, Buck, sulle rive dell’Athabasca è accaduto un combattimento, ed i lupi si preparano a banchettare coi morti.

– Ecco una cosa che fa venire i brividi, Bennie.

– A te che sei quasi nuovo del mestiere, ma non a me, vecchio cowboy del Grande Ovest. Bah! Ho vedute ben altre scene ed ho veduto ben altri lupi... Degli orrori ne ho veduti nella prateria!...

Intanto a quel primo urlo che era risuonato verso le rive del fiume, un altro non meno triste, non meno lugubre, vi aveva risposto più lontano, poi un terzo, un quarto, un quinto.

I predoni a quattro gambe, attirati dall’odore della carne fresca, si chiamavano l’un l’altro per radunarsi e quindi piombare sui morti e sui feriti per divorarli.

– Bennie!... – esclamò ad un tratto Buck, con una certa emozione. – Se laggiù vi fosse qualche ferito da salvare? Non si potrebbe strapparlo ai denti del lupi?

– Qualche ferito vi potrà forse essere, ma in quale stato sarà ridotto?... Credi tu che gl’indiani non l’abbiano scotennato?...

– Lo credo, però si dice che non tutti gli uomini scotennati dagl’indiani muoiono.

– È vero, e ne ho veduti parecchi vivere ancora molti anni. Il mio amico Taylor, per esempio, cowboy del signor Wood, è stato scotennato dagl’indiani ogollala, eppure è sano e robusto e tutt’al più soffre qualche volta un po’ di mal di capo, specialmente quando il tempo si cambia.

– Come vedi qualche povero diavolo possiamo salvarlo prima che i lupi lo divorino.

– Hum!... E gli animali?...

– Fra un’ora spunterà l’alba.

– Non dico di no.

– Se gl’indiani non hanno approfittato delle tenebre per fare un colpo anche su di noi, non l’oseranno ora che gli astri cominciano ad impallidire. Non odi le urla dei grossi lupi grigi?

– Sono le urla delle coyotes, Buck.

– Sono pericolose ed audaci anche quelle, quando sono in gran numero. Bennie!...

– Buck!...

– Andiamo?

– Sì – disse Bennie dopo alcuni istanti di esitazione. – Però, facciamo prima un giro attorno al bestiame. Io diffido sempre delle pellirosse.

– Facciamolo pure.

Misero i cavalli al galoppo, descrivendo un ampio cerchio attorno al bestiame che si era raggruppato addosso al carro, la cui massa enorme giganteggiava fra le tenebre, colla sua grande tela spiegata ad arco. Respinsero i buoi ed i cavalli che si erano coricati un po’ al largo, poi batterono la prateria, descrivendo parecchi giri che sempre più si allontanavano.

Persuasi che nessun indiano si teneva nascosto fra le alte erbe, dopo d’aver lanciato un ultimo sguardo all’ingiro, spinsero i cavalli verso il nord, dove l’orizzonte si vedeva chiuso da una fascia assai oscura, da qualche bosco senza dubbio.

Gli astri cominciavano ad impallidire lentamente e verso oriente una luce pallida saliva, diffondendosi pel cielo.

Qualche uccello s’alzava dalla prateria e saliva in alto descrivendo degli ampi giri, lanciando di quando in quando un trillo, il primo saluto all’astro diurno che stava per sorgere, mentre i grilli, nascosti sotto le grasse erbe, cominciavano ad interrompere i loro monotoni concerti.

Laggiù invece, verso le rive del fiume, echeggiavano sempre le urla tristi dei grandi lupi grigi ed i latrati insistenti delle coyotes, i veri lupi delle grandi praterie dell’America settentrionale.

Bennie e Buck, fermi in sella, colle gambe un po’ allargate per essere pronti, al primo pericolo, a balzare a terra e colle carabine a percussione centrale gettate attraverso l’arcione, guardavano attentamente le alte erbe, che potevano nascondere qualche agguato.

Galoppavano da venti minuti, senza aver scambiato una sola parola, tutti concentrati nelle loro osservazioni, temendo sempre una sorpresa, quando Bennie rattenne violentemente il suo cavallo facendolo piegare sui garetti.

– Che cos’hai?... – chiese Buck, alzando rapidamente la carabina.

– Guarda laggiù, presso il margine del bosco che costeggia il fiume – disse Bennie. – Non vedi nulla?

– Ma... sì – rispose il compagno, dopo d’aver osservato attentamente. – Si direbbe che vi è un carro semirovesciato.

– Ieri non vi era.

– Lo credo. A mezzogiorno ho cacciato in quel bosco i tacchini selvatici e non l’ho veduto.

– Ciò significa Buck, che non si tratta d’un falso allarme bensì d’un vero combattimento. Laggiù noi troveremo dei poveri emigranti orrendamente scotennati.

– Andiamo a vedere. Guarda, vi sono dei lupi raggruppati attorno al carro.

– Sì, per centomila corna di bisonte – disse Bennie aggrottando la fronte. – Quei feroci predoni a quattro gambe stanno spolpando qualche cadavere. Avanti, con prudenza, e non abbandonare il fucile.

Spronarono leggermente i cavalli e si spinsero innanzi, guardando attentamente ora il carro ed ora le alte erbe che giungevano fino al ventre degli animali. La luce che cresceva rapidamente, permetteva di scorgere quasi distintamente ciò che si trovava presso il bosco costeggiarne l’Athabasca.

Il carro era ormai completamente visibile. Era uno di quei grandi e pesanti rotabili usati dagli emigranti delle regioni orientali, vere fortezze ambulanti, quasi a prova di palla e che vengono trascinati da sei e talvolta da otto paia di buoi o di cavalli.

La grande tela che lo copriva era stata in parte atterrata e sventrata ed il carro, sia che avesse perduto qualche ruota, o che si fosse sprofondato in qualche canale od in qualche tratto di terreno melmoso, giaceva semirovesciato sul fianco destro.

Sul dinanzi, coricati sulle erbe, si vedevano alcuni cavalli ammucchiati alla rinfusa, sopra i quali volteggiavano, descrivendo degli ampi giri, parecchi avvoltoi neri.

Più oltre si scorgevano delle casse sventrate, altri cavalli morti, qualche coperta di lana che il vento mattutino gonfiava e sbatteva, poi un gruppo di quindici o venti animali somiglianti ai nostri lupi, ma col muso di volpe, il pelame abbondante, di tinta giallognola a macchie rossastre, ed il corpo robusto, lungo dai sessanta ai settanta centimetri e le gambe piuttosto alte.

Era una banda di coyotes, ossia di lupi di praterie, occupati a spolpare dei cadaveri.

Vedendo avvicinarsi i due cavalieri, i lupi si affrettarono a disperdersi, mostrando i loro musi aguzzi lordi di sangue e mandando dei latrati brevi.

– Al diavolo, dannati mangia-morti – gridò Bennie, alzando minacciosamente il fucile, mentre il suo cavallo, spaventato da quei latrati, s’impennava.

– Guarda!... – esclamò in quell’istante Buck, che aveva trattenuto il suo corsiero.

– Che cosa c’è?...

– Un uomo scotennato!...

Bennie si era rizzato sulle staffe, curvandosi innanzi.

In mezzo alle erbe giaceva un uomo di alta statura, vestito di panno azzurro-cupo, stretto ai fianchi da una cartucciera piena per metà di cartucce e coi piedi entro alti stivali di pelle non conciata.

Giaceva coricato sul fianco destro, colle mani strette attorno al viso che era bruttato di sangue. La sua capigliatura, strappata assieme alla pelle del cranio dal coltello d’un indiano, era scomparsa, e si vedeva invece una superficie rotonda, coperta qua e là da grumi di sangue coagulato, d’un aspetto raccapricciante.

– Canaglie!... – mormorò Bennie, rabbrividendo. – Quel povero diavolo è stato scotennato.

– E vedo là due indiani che sono caduti l’uno sull’altro – disse Buck. – Questo emigrante non si è lasciato scotennare senza lotta. Allontaniamoci, Bennie: questa scena mi mette raccapriccio.

Stavano per spingere innanzi i due cavalli, quando videro quel disgraziato così atrocemente mutilato fare un lieve movimento con una mano, poi lo udirono mormorare con voce semispenta:

– Da... bere...