IL PICCOLO BATTELLO a vapore che fa il servizio postale una volta alla settimana, fra New-York, la più popolosa città degli Stati Uniti dell’America settentrionale e la piccola borgata dell’isola Nantuchet, quella mattina era entrato nel piccolo porto con un solo passeggero. Accadeva spesso, durante l’autunno, terminata la stagione balnearia, che rarissime persone approdassero su quell’isola, abitata solo da qualche migliaio di famiglie di pescatori, che non s’occupavano d’altro che d’affondare le loro reti nei flutti dell’Atlantico.
– Signor Brandok, – aveva gridato il pilota, quando il battello a vapore s’era ormeggiato al ponte di legno, – siamo giunti.
Il passeggero che, durante la traversata, era rimasto sempre seduto a prora, senza scambiare una parola con nessuno, s’era alzato con una cert’aria annoiata, che non era sfuggita né al pilota, né ai quattro marinai.
– I divertimenti di New-York non lo hanno guarito dal suo spleen – mormorò il timoniere del piccolo battello, volgendosi verso i suoi uomini. – Eppure, che cosa manca a lui? Bello, giovane e ricco... se fossi io al suo posto!
Il passeggero era difatti un bel giovane, tra i venticinque e i ventott’anni, di statura alta e ben complessa, come sono ordinariamente tutti gli americani, questi fratelli gemelli degli inglesi, coi lineamenti regolarissimi, gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Aveva invece negli sguardi un non so che di triste e di vago che colpiva subito coloro che lo avvicinavano, e nelle sue mosse un non so che di pesante e di stanco, che contrastava vivamente col suo aspetto robusto e florido.
Si sarebbe dubitato che un male misterioso minasse la sua gioventù e la sua salute, non ostante la bella tinta rosea della sua pelle, quella tinta che indica la ricchezza e la bontà del sangue delle forti razze anglo-sassoni.
Come abbiamo detto, udita la voce del pilota, il signor Brandok s’era alzato quasi a fatica e come se si risvegliasse in quel momento da un lungo sonno.
Sbadigliò due o tre volte, gettò uno sguardo assonnato sulla riva, toccò appena la tesa del suo cappello per rispondere al saluto rispettoso dei marinai e scese lentamente sul pontile di legno.
Invece di dirigersi verso la borgata, le cui casette s’allineavano a duecento passi dal porticino, si mise a camminare lungo la spiaggia colle mani affondate nelle tasche dei pantaloni e gli occhi semichiusi, come fosse in preda ad una specie di sonnambulismo.
Giunto all’estremità della borgata si fermò e aprì gli occhi, fissandoli su un gruppo di monelli scalzi ad onta dell’aria frizzante e che si rincorrevano lungo le dune ridendo e schiamazzando.
– Ecco degli esseri felici – mormorò con un tono d’invidia. – Essi almeno non sanno che cosa sia lo spleen.
Stette qualche istante immobile, poi scosse il capo, mandò un lungo sospiro e riprese la passeggiata, per fermarsi alcuni minuti dopo dinanzi a una bella casetta a due piani, tutta bianca, colle persiane verniciate e un giardinetto chiuso da una cancellata in legno.
– Che cosa farà il dottore? – mormorò, guardando le finestre. – Starà tormentando qualche cavia o qualche povero coniglio. Il segreto di poter rivivere dopo vent’anni, bell’idea! Io credo che quel buon Toby perda inutilmente il suo tempo. Eppure egli è molto più felice di me.
Tornò a sospirare, attraversò lentamente il giardinetto il cui cancello era aperto e salì la scala, senza quasi rispondere al saluto di una grassa e rubiconda fantesca che gli aveva gridato dalla cucina:
– Buon giorno, signor Brandok; il mio padrone è nel suo gabinetto.
Il giovine era già al secondo piano. Aprì una porta ed entrò in una stanza piuttosto vasta e bene illuminata da due ampie finestre, tutta circondata da scaffali di noce pieni di un numero infinito di storte e di bottiglie variopinte.
Nel mezzo, curvo su una tavola, vi era un uomo sui cinquantacinque anni, di forme quasi erculee, con una lunga barba un po’ brizzolata e tutto intento ad osservare un coniglio che pareva o morto o addormentato.
Udendo aprirsi la porta si levò gli occhiali e si voltò con una certa vivacità, esclamando con voce giuliva:
– Ah! Sei tornato, amico James? Ti sei stancato presto di New-York e mi pare che tu non abbia un’aria molto soddisfatta.
Il giovine si lasciò cadere sopra una sedia che si trovava presso la tavola e rispose con un mesto sorriso.
– Dunque? – chiese l’uomo attempato, dopo un breve silenzio.
– Sono più annoiato di prima ed è un miracolo che sia qui – rispose Brandok.
– Perché?
– Avevo già deciso di fare un bel salto dal faro della Libertà e di sfracellarmi sul molo.
– Una brutta sciocchezza, mio caro James. A ventisei anni, con un milione di dollari...
– E cento milioni di noia che mi fa sbadigliare da mattina a sera – disse il giovine, interrompendolo. – La vita diventa ogni giorno più insopportabile e finirò per sopprimermi. Un viaggio all’altro mondo non mi dispiacerebbe. Forse là m’annoierò meno.
– Viaggia in questo mondo, amico.
– Dove vuoi che vada, Toby? – disse Brandok. – Ho visitato l’Australia, l’Asia, l’Africa, l’Europa e mezza America. Che cosa vuoi che vada a vedere?
Il dottore s’era messo a passeggiare per la stanza, con le mani dietro al dorso, la testa bassa, come se un profondo pensiero lo preoccupasse. Ad un tratto si fermò dinanzi al coniglio, dicendo:
– James, ti piacerebbe vedere come camminerà il mondo fra cent’anni?
Il giovine Brandok aveva alzato la testa che teneva inclinata su una spalla, interrogando il dottore collo sguardo.
– Sì, – riprese Toby, – io voglio vedere che cosa sarà l’America fra venti lustri. Chissà quali meraviglie avranno inventato allora gli uomini! Macchine straordinarie, navi colossali, palloni dirigibili e mille altre cose strabilianti. Ormai il genio umano non ha più freno e gl’inventori nascono come i funghi.
– Hai trovato finalmente il modo di prolungar la vita? – chiese Brandok, con tono leggermente ironico.
– Di fermarla, invece.
– Ah!
– Ne vuoi una prova?
– Possibile che tu abbia fatta una simile scoperta? – esclamò Brandok, con stupore. – So che tu da molti anni ti dedichi a certi esperimenti.
– E sono pienamente riuscito – disse il dottore. – Vedi questo coniglio?
– È morto?
– No, dorme da quattordici anni.
– È impossibile.
– Fra poco te lo farò risuscitare con una semplice puntura e un bagno tiepido.
– Quale filtro misterioso hai scoperto? Non ti prendi giuoco di me, Toby?
– A quale scopo? Chiudiamo le porte perché nessuno ci oda o ci veda, e tu assisterai ad una risurrezione meravigliosa.
Fece girare le chiavi, chiuse un po’ le finestre, accostò una sedia al tavolino e dopo aver offerto al suo giovine amico un sigaro, disse:
– Ascoltami ora, poi verrà l’esperimento.
Toby, dopo essere stato alcuni momenti silenzioso, raccolto in se stesso, s’era alzato per prendere da uno degli scaffali un vaso di vetro contenente una piccola pianta disseccata, che pareva unica nel suo genere.
– Ne hai mai veduta una di simile, amico James?
Il giovine Brandok guardò il dottore con una certa sorpresa, dicendo:
– Vorrei sapere che cosa ha da farci questa pianticella coi conigli che dormono da tanti anni. M’immagino che non avrai l’intenzione di aumentare le mie noie.
– Niente affatto – riprese Toby, imperturbabilmente. – Tu dunque non conosci questo fiore, quantunque tu abbia assai viaggiato?
– Sai bene che io di botanica non me ne sono mai occupato.
– Allora non hai mai udito parlare del fiore della risurrezione?
– No, mai – disse il giovine.
– Ascoltami dunque: la storia è interessante e non t’annoierà. Sarà cinquant’anni or sono, un mio collega, il dottor Dek, viaggiava nell’alto Egitto collo scopo di trovare un’antica miniera di metalli lavorata un tempo dai sudditi dei Faraoni.
«Un giorno incontrò un arabo infermo ed il dottore lo curò amorosamente, salvandogli la vita. Il figlio del deserto era povero, eppure volle ricompensare il suo salvatore, dandogli un tesoro che da sé solo valeva tutte le pietre preziose del mondo.»
– In che cosa consisteva? – chiese Brandok, che cominciava ad interessarsi vivamente di quel racconto che rassomigliava ad uno di quelli delle Mille ed una Notte.
– In una piccola pianta disseccata, che dall’arabo era stata scoperta in una antichissima tomba, nel seno di una sacerdotessa egiziana che per bellezza non aveva avuto uguali.
«Il dottor Dek, ascoltando i pomposi elogi fatti a quel piccolo fiore, sepolto chissà quanti secoli prima dell’era cristiana e che portava dei bottoncini arsi dal sole ed ingialliti, non aveva potuto trattenersi dal sorridere.»
– Ed io avrei fatto altrettanto – disse Brandok.
– Ed avresti avuto torto, – disse Toby, – poiché l’arabo prese la pianta, la bagnò con alcune gocce d’acqua e sotto gli sguardi del dottore si compì un prodigio meraviglioso. La pianta, appena sentì inumidirsi, cominciò a fremere, poi ad agitarsi, i suoi tessuti si raddrizzarono e i suoi bottoni si gonfiarono, poi si schiusero. Il fiore a poco a poco sbocciava, dopo venti secoli e più di sonno, svolgendo i suoi leggeri petali, i quali si distendevano come raggi superbi intorno ad un punto centrale, pieni d’eleganza e di freschezza.
– Strano fenomeno – esclamò Brandok, che pareva avesse dimenticato il suo spleen.
– Quel fiore, – proseguì il dottore, – rassomigliava ad una margherita raccolta in qualche giardino incantato.
«Quella risurrezione misteriosa durò parecchi minuti, poi la bella risorta a poco a poco rovesciò le sue corolle dalle tinte iridescenti, scoprendo in mezzo al bottone alcuni granelli antichissimi. Ahimè! La preziosa semente che il fiore della risurrezione custodiva con tanta gelosa cura, da tanti secoli era irrimediabilmente sterile.
«A quale suolo affidare quei granelli? Quale sole avrebbe potuto vivificarli? Sorpreso e ammirato, il dottore portò seco la meravigliosa pianta e rinnovò in Europa più centinaia di volte l’esperimento del vecchio arabo, e sempre il piccolo fiore del deserto, la pianta misteriosa degli antichi Faraoni, risuscitò nella sua immortale bellezza mercé alcune gocce d’acqua.
«Morendo, il dottor Dek regalò il fiore della risurrezione al discepolo ed amico suo James, il quale ripeté anch’egli, con eguale successo, la prodigiosa esperienza.
«Infine il fiore della pianta egiziana venne offerto ad Alessandro Humboldt ed il grande naturalista lo risuscitò più volte davanti ai suoi dotti colleghi. Fra le sue mani la pianta misteriosa non fece che rinascere e morire, senza che egli potesse penetrarne i segreti; ad ogni operazione ripeteva colla tristezza del genio impotente: "Nulla v’ha in natura che somigli a questa pianta!".»
– E nessuno ha mai potuto penetrare il mistero di quella pianta che dopo migliaia d’anni usciva dal suo sepolcro per risuscitare sotto una goccia d’acqua e riaprire la sua corolla eternamente bella, come per dire al mondo stupito: «Ecco come ero al tempo dei Faraoni»? – chiese Brandok.
– Sì, uno solo: io – disse Toby.
– Tu!
– Sì, io – ripeté il dottore.
– Dunque?...
– Adagio, questo è un segreto. Io ho potuto, in un viaggio che feci venticinque anni or sono in Egitto, avere uno di quei fiori e studiare e anche spiegare i misteri della risurrezione. E da quel fiore mi è sorta l’idea di fermare la vita umana per farla risvegliare dopo un numero più o meno lungo di anni. Perché, se poteva rivivere un umile fiorellino, non avrebbe potuto fare altrettanto un organismo così completo come quello dell’uomo? Ecco la domanda che mi rivolsi e alla cui soluzione impiegai venticinque anni di studi non interrotti.
– E sei riuscito?
– Pienamente – rispose Toby.
S’era alzato, avvicinandosi al tavolino e aveva preso fra le mani il coniglio che pareva morto, avendo le gambe e la testa irrigidite.
– Fa odore, questo animale? Fiutalo, James. Credi che sia morto?
– È freddo ed il cuore non batte più.
– Eppure la sua vita non è altro che sospesa da quattordici anni.
– È dunque la morte artificiale che tu hai scoperto?
– Una semplice puntura del mio filtro misterioso è bastata per fermargli le pulsazioni del cuore e conservarlo per un così lungo tempo.
– È meraviglioso!
– Forse meno di quello che sembra – disse il dottore. – Sai che cosa sono i fakiri?
– Dei fanatici indiani che eseguiscono degli esperimenti meravigliosi.
– E che si fanno seppellire talvolta per quaranta e anche cinquanta giorni entro una cassa sigillata, colla bocca e le narici turate da uno strato di cera, e che poi risuscitano senza aver l’aspetto d’aver sofferto. Un bagno nell’acqua calda, un po’ di burro sulla loro lingua per renderla più pieghevole ed eccoli ritornare alla vita. Ora vedrai.
Prese da uno scaffale una piccola fiala di vetro, che conteneva un liquido rosso, vi immerse una siringa, poi punse replicatamente il coniglio, la prima volta in direzione del cuore e la seconda volta alla gola.
L’animale non aveva dato alcun segno di vita ed aveva conservata la sua rigidezza.
– Aspetta, James – disse il dottore, vedendo apparire sulle labbra del giovine un sorriso d’incredulità.
In un angolo vi era un bacino di metallo, sotto cui ardeva una lampadina ad alcool. Il dottore v’immerse il dito per assicurarsi del calore dell’acqua, poi levò la vaschetta, deponendola sulla tavola.
– Fai fare un bagno al morto? – chiese Brandok.
– Cioè all’addormentato – corresse il dottore. – È necessario allentare a questo dormiglione i nervi che da tanti anni non agiscono più.
– Se tu riesci a far rivivere questo animale, io ti proclamo il più grande scienziato del mondo.
– Non esigo tanto – rispose Toby, ridendo.
Immerse il coniglio nel bacino, tenendogli la testa fuori dell’acqua, poi si mise ad alzare ed abbassare le gambe anteriori, come per provocare la respirazione e aspettò, guardando l’amico che s’era fatto tutto serio.
– Pare che tu cominci a credere al buon risultato della strana operazione – gli disse il dottore. – È vero, James?
– Non ancora – rispose il giovine.
– Eppure sento che la testa del coniglio comincia a diventar calda.
– Effetto del calore dell’acqua.
– E che la carne freme.
– Non vedo muoversi le gambe.
Ad un tratto mandò un grido di stupore: il coniglio aveva aperti gli occhi e fissava il dottore colle pupille dilatate.
– Ti sembra morto ora? – disse Toby, con accento beffardo.
– Ti guarda! – esclamò il giovine.
– Lo vedo.
– Agita le zampe!
– E respira anche.
– Miracolo!... Miracolo!...
– Zitto, James, non gridar tanto forte.
– È meravigliosa questa risurrezione.
– Non dico di no.
– Una scoperta che metterà sossopra il mondo.
– Niente affatto, perché io mi guarderò bene dal divulgarla. Non siamo che in tre sole persone a conoscerla: io, tu ed il notaio del borgo, quell’eccellente signor Max.
– Perché la conosce anche il notaio? – chiese Brandok, il cui stupore aumentava.
– Lo saprai più tardi; guarda il risultato per ora.
Aveva levato dalla vaschetta il coniglio e l’aveva messo sul tavolino, avvolgendolo in un pezzo di stoffa di lana.
Aveva gli occhi aperti, respirava liberamente, raggrinzando il naso, però si vedeva che era debolissimo, non riuscendo a reggersi sulle zampe, né cercava di fuggire. Doveva essere istupidito.
– Non morrà? – chiese Brandok.
– Stasera lo vedrai mangiare e correre assieme ai suoi compagni che tengo giù nel mio giardino. Non è il primo che io faccio risuscitare; la settimana scorsa ne ho fatto rivivere un altro dinanzi al notaio, ed anche quello dormiva da quattordici anni. Ora mangia, saltella e dorme come gli altri e tutti i suoi organi funzionano perfettamente bene.
– Toby – esclamò Brandok, con profonda ammirazione. – Tu sei un grand’uomo; tu sei il più grande scienziato del secolo.
– Di questo o dell’altro? – chiese il dottore.
– Che domanda è questa?
– Mio caro James, tu devi aver fame ed il pranzo è pronto. L’aria di mare mette appetito e la mia vecchia Magge mi ha promesso un superbo piatto di pesce. Lasciamo qui il coniglio e andiamo a riempire lo stomaco; la cuoca sarà già arrabbiata del ritardo. Avremo anche il notaio al pudding.
– Perché il notaio?...
Il dottore, invece di rispondere, si affacciò alla finestra, e vedendo un garzone che stava innaffiando le zolle del giardino, gli gridò:
– Tom, avverti Magge che siamo pronti ad assaggiare le sue triglie e le sue dorate e per le due attacca il poney. Dobbiamo fare una gita allo scoglio di Retz.
Cinque minuti dopo, il dottore e il signor Brandok seduti in una elegante saletta da pranzo, dinanzi ad una tavola bene imbandita, gustavano con molto appetito le grosse ostriche di New Jersey, le più deliziose che si trovino sulle coste orientali dell’America settentrionale, le dorate e le triglie preparate dalla brava Magge, innaffiando le une e le altre con dell’eccellente vino bianco dei vigneti della Florida.
Il dottore non parlava; pareva tutto intento a divorarsi quei deliziosi pesci, i migliori forse che possegga l’Atlantico settentrionale.
Brandok invece, cosa assolutamente nuova, sembrava che non fosse più tormentato dallo spleen; chiacchierava per due, tempestando il compagno di domande su quella meravigliosa scoperta che doveva, a sentir lui, portare la rivoluzione nel mondo. Con tutto ciò non riusciva che a strappare qualche sorriso allo scienziato.
– Dunque queste triglie e queste dorate ti hanno reso muto – gridò ad un tratto Brandok, che cominciava ad arrabbiarsi. – Sono venti minuti che i tuoi denti continuano a macinare e che invece la tua lingua rimane immobile.
– No, mio caro James, io penso – rispose il dottore, ridendo.
– Pare che tu abbia dimenticato la tua scoperta.
– Tutt’altro.
– Allora parliamone.
– Al pudding.
– Che cosa c’entra quel pasticcio?
– Ti ho detto che verrà ad assaggiarlo anche il notaio della borgata, quel bravo signor Max.
– Ma insomma che cosa c’entra lui?
– Perdinci, se c’entra! Se dopo cent’anni nessuno più si ricordasse di me e mi lasciassero dormire per sempre? Tanto varrebbe morire.
– Toby! – esclamò Brandok. – Che cosa hai intenzione di fare?
– Vedere come camminerà il mondo fra cent’anni e null’altro.
– Come! Tu vorresti...
– Fare un sonno di venti lustri.
– Sei pazzo?
– Non lo credo – rispose il dottore con voce tranquilla.
Brandok aveva picchiato sulla tavola un pugno così violento, da far traballare i bicchieri e rovesciare una bottiglia.
– Tu vorresti?... – gridò.
– Farmi rinchiudere nel rifugio che mi son fatto preparare sulla cima dello scoglio di Retz, per risvegliarmi fra cento anni, mio caro. S’incaricheranno i discendenti del notaio e il futuro sindaco di Nantuchet, o i suoi successori, di farmi ritornare alla vita. Lascio ventimila dollari appunto per farmi risuscitare, unitamente alla fiala contenente il misterioso liquido che mi dovranno iniettare nei punti indicati nel mio testamento.
– Ti ucciderai!
– Allora vuol dire che tu non hai alcuna fiducia nella mia grande scoperta.
– Sì, piena fiducia; però tu non sei un coniglio e poi cento anni non sono quattordici – disse Brandok.
– Abbiamo sangue e muscoli al pari delle bestie e un cuore che funziona egualmente. Volevo farti la proposta di addormentarti con me; ora vi rinunzio.
– Tu hai pensato a me?
– Sì, sperando che in un riposo di cento anni il tuo spleen finirebbe per andarsene.
– Se l’altro giorno volevo gettarmi dal faro della Libertà! Vedi in quale conto ormai tengo la mia vita. Mi vuoi per compagno, Toby? Sono pronto. Anche se morissi, non perderei nulla.
– Dunque ti piace la mia idea?
– Sì, francamente.
– Sei eccentrico come un vero inglese.
– E non sono forse un inglese? – disse Brandok, ridendo.
Il dottore s’alzò, andò a prendere su una mensola una polverosa bottiglia che doveva contare un bel numero d’anni e la sturò, empiendo i due bicchieri.
– Medoc del 1888 – disse. – Dopo ventiquattr’anni di riposo deve essere diventato eccellente. Alla nostra risurrezione nel 2003 – esclamò, alzando il bicchiere.
Lo vuotò di un fiato, stette qualche minuto sopra pensiero, poi disse:
– Tu possiedi, James?...
– Cinque milioni di lire.
– In cartelle dello Stato?
– Sì.
– Devi cambiarle in oro, amico mio. Fra cent’anni quelle cartelle potrebbero non avere più valore alcuno, mentre invece l’oro rimane sempre oro, sia che si trovi in verghe od in pezze da venti lire. Io posseggo soltanto ottantamila dollari, tuttavia spero che mi basteranno, anche fra cent’anni, per non morir di fame. Sono già a posto nel piccolo sotterraneo che ho fatto scavare sotto la mia tomba, in una cassaforte, colla chiave a segreto.
– E sei certo che i nostri corpi si conserveranno?
– Meravigliosamente – disse il dottore. – Ci conserveremo come fossimo carni gelate.
– Geleremo?
– Sì.
– Chi metterà del ghiaccio nella nostra tomba?
– Non ve ne sarà bisogno. Ho scoperto un certo liquido che abbasserà la temperatura della nostra tomba a 20 gradi sotto lo zero.
– E si manterrà?
– Finché non sfonderanno la nostra cupola di cristallo per farci risuscitare. Staremo benissimo là dentro, te lo assicuro. Ah! Ecco quel bravo notaio; giunge a tempo per assaggiare il pudding della mia cuoca e vuotare un bicchiere di questo delizioso Medoc.
Nella stanza vicina aveva udito Magge che gridava:
– È sempre in ritardo, signor Max! Cinque minuti ancora e non assaggiava più il mio pudding. Un’altra volta me lo farà bruciare.
La porta del salotto s’era aperta fragorosamente ed il notaio era entrato con un passo così pesante, da far traballare le bottiglie ed i bicchieri.
Il signor Max era un uomo sulla sessantina, grasso come una botte e col viso rubicondo, nel cui mezzo faceva bella mostra un naso che poteva stare in paragone, senza arrossire, con quello del guascone Cyrano di Bergerac.
– Buon appetito, signori – gridò, con una voce da granatiere. – Come va, signor Brandok? V’è passato lo spleen dopo la vostra gita a New-York?
– Comincia a lasciarmi un po’ di tregua, signor Max, – rispose il giovine, – e spero che fra alcuni giorni se ne starà tranquillo per un buon secolo. Poi vedremo.
– Ah!... Ho capito – disse il notaio, ridendo. – Toby ha trovato un compagno.
– Che mi terrà buona compagnia – disse il dottore, empiendo un bicchiere. – Assaggiate questo Medoc, mio caro notaio; non se ne trova di simile nemmeno in Francia.
Magge entrava in quel momento, portando su un piatto d’argento un bel pasticcio dalla crosta dorata, che fumava ancora e che espandeva un profumo delizioso.
– È attaccato il poney? – chiese il dottore.
– Sì, padrone – rispose la cuoca.
– Allora sbrighiamoci.
In pochi minuti fecero sparire il pudding, vuotarono una tazza di thè, poi scesero nel cortile, dove li attendeva un carrozzino tirato da un piccolo cavallo bianco, che sembrava impaziente di partire.
– Andiamo – disse il dottore, raccogliendo le briglie ed impugnando la frusta.
– Fra mezz’ora saremo allo scoglio di Retz.